Dylan é un cucciolo di spinoncino di poco più di un anno. Viene da un canile e ha tutte le paure di un cane che é stato abbandonato. Oggi però é eccitatissimo e non fa altro che abbaiare spazzando con la coda l’aria a mo’ di ventilatore. Accanto a lui c’è il motivo di tanta agitazione: una gabbietta di metallo dentro cui si trova Kessy, una siamese piccola come una mano e terrorizzata da questo gigante che le scompiglia il pelo con la forza del suo abbaiare.
Dylan e Kessy sono cresciuti inseparabili. Passano il loro tempo sul divano dove Kessy, dopo essersi completamente lavata, prova a fare lo stesso con Dylan rimanendo immancabilmente impigliata nel suo lungo pelo. Oppure si rincorrono per la casa. Kessy schizza come Beep Beep e nelle curve a gomito sfrutta la parete per darsi la spinta come un nuotatore a bordo vasca. Dylan é più goffo ma non si scoraggia: quando Kessy parte improvvisamente dando il via ai giochi lui slitta sul marmo galoppando a vuoto per qualche interminabile secondo prima di trovare il giusto attrito per iniziare l’inseguimento.
Kessy é sul tavolo esagonale di legno del salone. E’ seduta in mezzo alle fragili suppellettili che rischiano di rompersi se lei non ci presta la dovuta attenzione. Il tavolo é proibito a Kessy e lei lo sa. Ma lo sa anche Dylan che un po’ per fedeltà verso i padroni e un po’ perché, in fondo, é invidioso del fatto che solo Kessy possa starci, abbaia rumorosamente nella sua direzione stando ai piedi del tavolo. Kessy lo guarda dall’alto verso il basso indifferente. Dylan abbaia dal basso verso l’alto istericamente. A un certo punto decide di cambiare strategia e corre per la casa a cercare qualcuno a cui fare la spia. Alla prima persona che trova abbaia il suo “Corri! CORRI! Vieni a vedere che sta facendo quella gatta!”
Dylan è un cane del tipo pozzo-senza-fondo. Mangia la sua ciotola ed elemosina quello che stanno mangiando i padroni a tavola. Mangerebbe anche la ciotola di Kessy se questa non si trovasse in salvo su un tavolo lungo il corridoio. Kessy è una gatta attenta alla linea. Spizzica i suoi croccantini mentre Dylan la guarda con gli occhi grandi da sotto il tavolo. Kessy sa anche essere generosa e dopo qualche croccantino mangiato ne tira fuori uno con la zampina per buttarlo di sotto al tavolo. Dylan mangia, ringrazia e si rimette in attesa.
La ciotola della gatta torna ad essere nuovamente protagonista anche al mio rientro a casa. A Dylan sono sufficienti due cose per essere felice: una carezza e un croccantino. Ricevuta la prima appena varcata la soglia di casa mi segue lungo il corridoio fermandosi vicino al tavolo dove si trova la ciotola di Kessy per ricevere la seconda. Prendo un croccantino e lo metto sul bordo del tavolo. Lui si alza sulle zampe posteriori, poggia quelle anteriori sul tavolo e si mangia il croccantino con lo stesso gusto che proverebbe un appassionato di macaron a mangiarne uno preparato da Pierre Hermé in persona. Tornato con tutte e quattro le zampe a terra mi interroga con lo sguardo per sapere se ce ne sarà un altro.
Dylan é invecchiato. Ha le cataratte ad entrambi gli occhi e l’artrosi che gli rende difficile muoversi. Non corre più dietro a Kessy ma in fondo anche a lei è passata la voglia di fare quel gioco e come due anziani in veranda si godono comodamente sdraiati il panorama dal divano.
Dylan é peggiorato. Bisogna guidarlo nei movimenti perché le cataratte hanno trasformato il suo mondo in un qualcosa di lattiginoso e indefinito. Sbatte il muso nelle porte o nelle pareti e a volte non riesce a trattenersi dall’andare al bagno quando non dovrebbe. Il veterinario ha sostituito i croccantini del gatto con tante pillole colorate che Dylan ingoia senza troppe proteste.
Passo a casa perché temo che non avrò una seconda occasione per salutarlo. Dylan riposa sulla sua solita brandina. E’ talmente magro che mi sembra di rivedere il cucciolo che 19 anni fa era entrato nella nostra casa. Respira sereno con gli occhi chiusi. Mi accovaccio accanto a lui per accarezzarlo provando la sensazione di toccare una spelacchiata pelliccia gialla gettata su un mucchio d’ossa. Pelle e ossa che non trattengono una vita che ad ogni respiro scivola via come la sabbia in una clessidra. Ci sono nuovi prati su cui correre, amici da inseguire e ciotole mai vuote per saziarsi. Ci sono carezze e cucce, l’abbaiare scalmanato e i divani su cui riposarsi. Tutto questo gli auguro accarezzandogli il muso per l’ultima volta sperando che porti con sé un po’ del mio odore nel suo cuore.