13/09/2006
Mentre la nostra simpatica Patsy rosola le sue morbide chiappette bianchiccie (avete presente due marshmallow? ) al sole della Grecia approfitto nella forzata (e gradita!) pausa della sua produzione bloggheccia per raccontare un simpatico (mah…) episodio accaduto al sottoscritto nel lontano 1995.
Era una calda serata estiva e, dopo una corposa cena al ristorante cinese, il sottoscritto e il simpatico gruppo di amici con cui si accompagnava, percorreva allegramente Piazza del Popolo nel tentativo di smaltire i 160 involtini primavera innaffiati con abbondante sake e grappa di rosa.
Forte della sicurezza infusa dall’alto tasso etilico mi offrii come “cavallo” per una mini corsa a cavacecio. Questa antica attività equestre consiste nel portare una persona seduta sulle proprie spalle reggendole i piedi con le mani per darle maggiore stabilità. Gli obiettivi della gara possono variare: in acqua (al mare) si punta a far cadere il cavaliere dell’avversario sperando che ingurgiti mezzo oceano nel tentativo di risalire a galla, per strada si può provare per un “arrivo prima io!”.
Seppur la grappa mi illudeva di essere in possesso di un fisico guizzante di poderosi muscoli e sorprendente agilità superiori a quelle di un superman dopato la verità era ben lontana dall’essere questa. Dopo aver percorso, infatti, pochi stentati metri la pericolante torre umana costituita da me come sistema di deambulazione e dal mio amico come navigatore ebbe la scontata fine su cui ogni scommettitore avrebbe puntato la dentiera d’oro della propria madre: un rovinoso crollo.
Data la repentinità dell’evento non riuscii a piazzare le mani in avanti a difesa di quel tempio vuoto che costituisce il mio fragile cranio ma ebbi, comunque, la prontezza di girare il viso di lato prima che il naso mi venisse spinto all’interno della faccia dal simpatico sampietrino che il fato aveva designato come mezzo per far terminare la mia caduta.
Conseguenze del lieto impatto: grandissime risate da parte mia e del mio compagno, grazie soprattutto all’effetto anestetico causato dall’alcool, e grande preoccupazione da parte degli altri compagni che, improvvisamente sobri, insistevano in un rapido salto al più vicino ospedale.
Ignorando queste richieste e con mezza faccia che incominciava a crescere di dimensioni e a pulsare stranamente decidemmo per il tornare a casa dove, finalmente, mi potei accasciare tranquillamente nel mio caldo letto estivo.
La mattina dopo l’immagine riflessa dallo specchio fu alquanto preoccupante: avete presento Rocky BelBoia dopo aver combattuto contro un Ivan Drago con i guantoni imbottiti da bulloni, viti e cocci di vetro?
Ecco, la mia faccia poteva essere quella con l’aggiunta che era del colore del viola cardinalizio e calda come una brioche del Mulino Bianco appena sfornata (probabilmente anche con lo stesso sugnoso ripieno di finta marmellata giallognola …)
Incurante della cosa passai la giornata tranquillamente nel classico ozio estivo arrivando, per la seconda sera, al momento del sonno.
Questa volta addormentarsi, per me che basta che chiuda gli occhi in qualsiasi posto mi trovi, fu meno facile del solito e la notte passò in semi-bianco con continui arrovigliamenti nel letto e brevi angoscianti sogni popolati di immagini di pullman senza controllo che correvano a parcheggiarsi sulla mia faccia.
Il secondo giorno il mio viso aveva virato verso una tonalità di colore di un viola più acceso del giorno precedente e le pulsazioni sembravano aver assunto un ritmo un po’ Country come se al suo interno si stessero esercitando gli Stomps per il concerto del giorno dopo.
Con un bel paio di fondi di bottiglia da agente dell’FBI (rigorosamente a goccia e in grado di coprire tutta la faccia e gran parte del corpo) riuscii, comunque, ad uscire senza attirare troppa attenzione da parte degli abitanti e frequentatori del quartiere (per fortuna che a casa mia non c’era nessuno, essendo tutti in vacanza estiva, evitando, così, imbarazzanti spiegazioni).
Ma la terza notte il sonno non voleva per nulla decidersi a venire!
Contai pecorelle, involtini primavera gambe-dotati, facce tumefatte e rotolanti, caprioli di marzapane con i piedi di balsa, tutti i simpatici esseri che potevano desiderare di saltare uno steccato senza che il sonno si decidesse a farmi cadere nell’amato oblio della vita-non vita.
Alle 4.00am, non sapendo più cosa fare, presi la decisione risolutiva (o almeno io speravo che sarebbe stata tale!): fare un salto al CTO che, tra l’atro, si trova anche dietro casa mia.
Alle 4.30am ero in sala d’aspetto insieme ad altri sventurati frequentatori del pronto soccorso notturno: gente incastrata in strane posizioni, persone con oggetti ancora più particolari saldamente infilati all’interno del proprio corpo e via dicendo.
Alla fine venne il mio turno e fui condotto nel reparto adibito alla fotografie più intime che è possibile fare ad un corpo umano: quello delle radiografie.
Fatta la mia bella “teschio-foto” mi riaccomodai nella sala d’aspetto attendendo il referto.
All’apertura della porta che conduceva nel laboratorio delle radiografie la persona dietro di me, che supponeva giustamente fosse in quel momento giunto il suo turno, fu presto delusa dal constatare che invece ad essere chiamato fossi nuovamente io.
E così avvenne per altre due volte finché non venni spedito dalla dottoressa di turno che dopo aver esaminato silenziosa il referto mi informò di come stavano le cose … :
Dott.ssa: “Bene, risulta che lei ha una frattura composta dello zigomo”
Io: “Ah, bello. Che devo fare?”
Dott.ssa: “Niente, prenda questi antidolorifici e aspetti”
Io: “Ok”
Dott.ssa: “Senta … ma … chi l’ha picchiata?”
Io: “Picchiato … ? Ma nessuno!”
Dott.ssa: “Ah … ok ….” … “No, veramente … Me lo dica! Chi l’ha picchiata?? Dobbiamo fare la denuncia …”
Io: “Ma nessuno, sono caduto giocando!! Ho preso una persona sulle spalle e sono caduto a faccia in giù …”
Dott.ssa (con la faccia a forma di punto interrogativo e il tono accondiscendente): “Ah … sicuro …certo …”
Alle 6.00am ero nuovamente nel mio lettuccio, dopato e con uno zigomo più composto del resto del mio corpo …
Sul vetro della mia camera da letto, in attesa dei primi raggi del sole per risplendere in tutta la sua maestosità, la lastra del mio teschio che silenziosamente ghignava per la stupidità del sottoscritto!
Questo che avete appena letto é un vecchio articolo apparso su BestDisgusting, il –oramai defunto– blog che io e Patsy curavamo a 4 mani.
Lo stile di scrittura e gli argomenti trattati sono quelli di quasi 10 anni fa e incollati qui senza una virgola di correzione. Se vi è sembrato che lo stile fosse immaturo, gli argomenti poveri e che a quella “a” mancasse proprio una bella H davanti probabilmente avete visto giusto!
Le foto, ahimè, sono andate quasi interamente perse. Le poche che troverete sono pescate per l’occasione dalla rete.
Per saperne di più:
BestDisgusting: http://www.madgrin.com/2011/06/30/bestdisgusting/
Indice della serie: http://www.madgrin.com/series/bestdisgusting