L’idea che i morti possano tornare a camminare mi ha sempre affascinato.
Questa mia passione ha inizio, con molta probabilità, in giovane età con il film Zombi (Dawn of the Dead) di George A. Romero. Nel film ci sono questi tizi che un bel giorno scoprono che i morti non sono più propriamente tali e hanno fame.
Fame dei vivi cioè di loro.
La soluzione migliore é scappare e la loro fuga si conclude, provvisoriamente, in un supermercato. Di quelli americani, che quando andavo negli USA mi piaceva un sacco visitare di notte visto che a Roma, la città più provinciale che io conosca, questa cosa allora non esisteva. Insomma in questo supermercato avevano tutto e sarebbero potuti sopravvivere bene ma si sa che l’animale più violento sulla Terra é l’Uomo e così nel film arriva una banda di sciacalli che attacca il supermercato aprendo la strada anche agli Zombie, ancora più affamati.
Comunque se non conoscete il film forse é il caso che ve lo guardiate! Youtube lo propone in versione integrale in inglese per cui avete anche l’occasione per migliorare la conoscenza della lingua.
Dopo il primo film ne sono seguiti innumerevoli altri e poi libri, fumetti, riviste, ecc.
I libri e i videogiochi sono quelli che ad oggi riescono a sfamare nel modo più soddisfacente la mia voglia di carne. I primi, i libri, hanno il fortissimo potere di far lavorare l’immaginazione perché per quanto lo scrittore sia abile nel descrivere una situazione sarà la tua mente a dover completare il quadro. E così è stato per la trilogia di Epidemia Zombie, per quella di Diario di un sopravvissuto agli zombie o, per andare su titoli più famosi, di World War Z da cui é stato anche tratto un filmone hollywoodiano con Brad Pitt.
La mente si riempie delle immagini di tantissime bocche affamate che aspettano pazientemente nel buio pronte ad affondare i loro denti nelle carni del malcapitato. Sei solo con il protagonista in un mondo che non ti é più famigliare e strisci nell’ombra sperando che nessuna di quelle cose ti senta.
I videogiochi lasciano meno spazio alla fantasia ma ti mettono in mano il tuo destino, o almeno quello virtuale. Per questo non ho elemosinato teste spaccate e arti mozzati giocando a Dead Island o Dead Rising o mi sono nascosto dietro le siepi temendo la fine con State of Decay.
E alla fine, dopo aver consumato ore e diottrie dietro un foglio di carta stampata o uno schermo ho deciso che era ora di scendere in campo partecipando con alcuni amici a Doom Valley, un survival dal vivo. Esperienza bella e divertente e, confesso, anche discretamente adrenalinica.
Da cosa nasce questa passione per quello che dovrebbe essere morto ma che non si rassegna ad esserlo?
Il passato é quello che ci rende quello che ora siamo. E’ fatto di quegli scalini che ci hanno permesso di procedere nella nostra esistenza a volte in salita, altre in discesa. E’ quel luogo remoto, nello spazio e nel tempo, verso cui ci capita di volgere lo sguardo con nostalgia ma anche con dispiacere, gioia o rassegnazione. E’ pieno delle persone che non ci sono più, dei nostri animaletti dell’infanzia, di vacanze divertenti, di episodi brutti, di risa, gioie, facce, sorrisi e lacrime. Di persone che non vediamo o sentiamo più a volte a causa nostra, altre per loro, altre ancora perché così era scritto.
Sono i sogni a cui abbiamo rinunciato, le speranze ormai sepolte, le occasioni perse i “ma se avessi fatto” e i “ma se avessi detto” di cui ci siamo resi conto troppo tardi, i rammarichi e i successi. Flash che ti passano davanti agli occhi come quando si confronta la foto d’epoca di un posto con il suo aspetto attuale, come quando il mondo reale si mixa improvvisamente con i ricordi del passato e quella persona che non c’è più in quel momento c’è e sta ridendo con te o arrabbiata ti sta tirando le orecchie.
E’ quel luogo nel quale torniamo per indugiare sulle cose oramai sepolte e che vorremmo che non fossero tali e che, come novelli Dottor Frankenstein, ci piacerebbe riportare in vita.
E’ un luogo pericoloso verso il quale, mentre procediamo nella propria vita, rischiamo di guardare più spesso di quanto dovremmo. E così, mentre siamo girati a guardare il nostro passato, rischiamo di perderci tutto lo spettacolo di quello che ci aspetta davanti.